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10 Giugno 2014

Napoli: tra inferno e paradiso!

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Napoli: tra inferno e paradiso!

"Il Biblioitecario" - Il focus di Antonio De Robbio sul blog di NapolinVespa

Perché non credo negli Eden e nei miracoli? Perché non appartengono alla Realtà e poi perché non credo in nulla – cosa che non depone completamente a mio favore. Credo però che si possa percorrere la vita come un insieme di curiosità soddisfacenti. Questo è uno dei motivi per i quali mi trovo bene a vivere Sotto il Vulcano. Non è mai stato un Eden né quell’inferno che i media (specialmente progressisti-moralisti) vogliono dipingere: è semplicemente l’unico posto in Italia (forse con la sola eccezione di  Palermo) dove, vivendo la plebe in pieno centro, tu sei in continuo contatto con le tue “radici” – come dicono quelli di cultura yankee.  Aveva ragione Curzio Malaparte, pessima mente, raffazzonata identità ma scrittore sopraffino.  Scrittore – attenzione ! – non narratore. Diceva che Napoli era l’unica METROPOLI antica che si era salvata dal naufragio del mondo classico. Pongo l’attenzione su due punti: la parola Metropoli e la parola naufragio. Napoli non è mai stata “provincia” nel senso minoritario del termine e ciò la ha certamente viziata e resa diseguale. Quasi ininterrottamente Napoli è da 2000 anni sotto i riflettori come unicum – quindi né come Miracolo né come Eden. Per ciò che riguarda la parola naufragio, qui ci addentriamo in un terreno assai  minato: sono milioni le “cose” che , da che siamo Civiltà ( 15.000 e più anni ) , sono scomparse. Per fare un esempio più vicino a noi: credete che Tacito abbia scritto soltanto quel che ci è giunto? Credete che Ammiano Marcellino si sia arenato con un solo testo nelle secche del IV secolo? Credete che le pitture, gli ipogei, le ville, i papiri, i ninfei  eccetera, giunti fino a noi, siano TUTTA l’Antichità? Ma nemmeno per idea! Le cose, io credo, non cambiano mai: esse si trasformano e nel trasformarsi perdono per strada alcuni “pezzi”. E’ inevitabile. Come dice Lavoisier: Niente si crea e niente si distrugge, tutto si trasforma. Quindi, teoricamente, non bisogna abbattersi troppo perché un manufatto, un paesaggio, un pezzo di città, un “qualcosa” che è stato non è più: è la trasformazione, niente altro!  E Napoli è trasformazione a 360°, incessante e , forse proprio per questo, nevrotica. Trasformazione, però, in una specie di “stabilità”. 

Ecco: trasformazione – un’altra parola che trascuriamo, preferendo l’inutile termine “ cambiamento “ . Si dovrebbe, qui a Napoli, inventare una scuola che insegni alle persone a cambiare le parole, alcune  annullandole del tutto – come per esempio: bene&male, buono&cattivo, fortuna&sfortuna, Essere, credere  eccetera. Ma non è di questo che ci stiamo occupando! Se trasformazione deve essere, trasformazione sia…ma spesso non a Napoli. Qui una irrazionale forza fa in modo che il nocciolo di “qualcosa” rimanga eterno, sempre lo stesso. Ciò non significa “antico”, sorpassato, vecchio – intendo semplicemente dire: UGUALE. Direte: come fai coincidere la trasformazione di cui parli con questa unicità napoletana? Semplice, non la faccio coincidere ma osservo. Napoli è l’unica vera metropoli italiana (in senso warholiano, americano) ma è anche l’unica metropoli (occidentale?) che ha la plebe in Centro. Cosa intendo per Centro? Facciamo così, specifichiamolo. Per Centro intendo quel “quadrato” che da Poggioreale arriva a Mergellina (di sopra) e da Garibaldi arriva sempre a Mergellina (di sotto). In questo Centro la plebe la fa da padrone. Attenzione! Non è vero che c’è solo plebe: in queste zone c’è tantissima gente che plebe non è.  Ma la plebe c’è,  è un dato di fatto! Questa plebe si muove, respira, mangia, fotte, si traveste, evade tasse, “commercia”, prega esattamente come faceva nel Foro – cioè dove adesso c’è San Lorenzo – così pittorescamente descritto da Bartolommeo Capasso. A prima vista la scorza è Neocapitalistica: il travestimento della modernità è una delle concessioni del Potere. Ma poi, se la osservi bene, vedi che nulla è cambiato per questa plebe , dagli Aragonesi ai Savoia. E non intendo dare un giudizio negativo: nulla è cambiato per me significa che questa plebe è fortissima, tenace, viva. E’ chiaro che è anche odiosa, lercia, ma è unica e VIVE IN CENTRO. 

Se tu vai a Genova-zona porto trovi qualcosa di simile…qualcosa…Se giri per Roma ti accorgi di stare, dalle architetture, in un ex quartiere plebeo ma di plebe ce ne è ben poca. Sì , trovi il proletario urbano, ma la plebe? Con grande lungimiranza Mussolini la “ deportò “ tutta: Tiburtino III, Magliana, quartiere africano eccetera. A Napoli no, a Napoli la plebe è in Centro! E cosa ne vogliamo fare? Essa, da un lato, dovrebbe essere                   “ deportata fuori le mura “ ma, dall’altro, è il nostro specchio. Già narcisisti per natura, noi napoletani siamo gli unici a poter camminare per strada e specchiarci in questa plebe per vedere come eravamo noi stessi appena qualche generazione fa.  Questo continuo oscillare tra Narciso e Identità fa di Napoli un covo di maledettissimi attori, sfacciatissimi narcisi, resi idrofobi dal potersi vedere e rivedere, in realtà e in “costume”. Ecco forse perché si tollera la plebe in Centro: si tollera il piacere di sentirsi guardati e di guardare!  Che poi questa plebe non faccia pro-gredire  - dal lat. progrĕdi ‘avanzare’, comp. di prō- ‘pro-’ e grădi ‘camminare, procedere’ – è assolutamente falso!  Questa plebe , e Napoli con essa , cammina eccome! Ma è un camminare fatto di saltelli non di lunghi passi dettati dall’esigenza del momento. Non dico che questo fatto sia positivo – anzi! ; dico che tutto dipende da quale modello abbiamo in testa.  Se quello del Cambiamento, allora la città-modello italiota è Milano; se invece abbiamo in testa il Modello della Trasformazione…beh…allora non c’è città più trasformata, trasformista, trasformabile al mondo di Napoli.
Antonio De Robbio

Fotografia: Naporama.it 

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